Liquido amniotico

Il liquido amniotico è un liquido trasparente, leggermente giallognolo che circonda il feto durante la gravidanza. E’ contenuto nel sacco amniotico.

Talvolta, alla nascita, il liquido amniotico appare “tinto”, di un colore che può variare dal verde chiaro al verde molto scuro, quasi nero. La colorazione è dovuta alla presenza di meconio, il contenuto intestinale del feto, che di solito viene espulso dal neonato 24-48 ore dopo la nascita.

Non è un’evenienza rara (riguarda circa il 10-15% dei neonati), ma solo in pochissimi casi comporta complicazioni serie per il bebè. Molto più spesso, nonostante il liquido sia tinto, il piccolo non manifesta alcun problema.

La presenza di meconio nel liquido amniotico è dovuta alla precoce attivazione dei movimenti intestinali (peristalsi) del feto, causata da uno stress per il ridotto apporto di ossigeno attraverso la placenta, organo che regola tutti gli scambi materno-fetali. Questa eventualità può presentarsi in qualsiasi momento della gravidanza, ma solo nel caso in cui si verifichi durante il parto può comportare problemi per il piccolo. Le cause sono molteplici: presenza di patologie, come diabete gestazionale e gestosi ipertensiva, oppure episodi acuti come, per esempio, un distacco di placenta.

In generale, quindi, la presenza di meconio indica che c’e stata una sofferenza fetale, che normalmente è di lieve entità e che può essersi verificata in qualunque momento della gestazione senza conseguenze per lo sviluppo e il benessere del feto. Durante la gravidanza, infatti, il liquido amniotico non può raggiungere i polmoni, che ancora non sono in funzione e, anche se ingerito, non causa nessun disturbo al piccolo.

QUANDO DEVE SCATTARE L’ALLARME

Se il liquido amniotico si presenta colorato al momento della rottura delle membrane, il feto viene monitorato in modo intensivo attraverso il cardiotocografo per rilevare eventuali altri segni di sofferenza. Se tutti i parametri risultano nella norma, il parto procede regolarmente. Se, invece, si registrano ulteriori anomalie, potrebbe rivelarsi necessario intervenire con un cesareo o con l’induzione del travaglio.

I rischi per la salute del bebè possono verificarsi solo nel caso in cui il piccolo inali liquido amniotico intensamente tinto: un’eventualità rara, che si può presentare in travaglio, soprattutto nella fase espulsiva, quando la testa del feto è già a contatto con l’ambiente esterno e compie i primi atti respiratori dopo la momenti, i tentativi del bimbo di respirare possono far sì che il liquido amniotico, unito al meconio, arrivi in profondità nei polmoni, raggiungendo gli alveoli.

Può insorgere quindi la cosiddetta “polmonite da meconio”, una reazione infiammatoria delle mucose delle vie aeree. Per evitare questa complicanza, prima che il neonato cominci a inspirare, le vie respiratorie vengono liberate con un apposito strumento che aspira il liquido.

Raramente può accadere che, oltre alla presenza di meconio, ci sia una ridotta quantità di liquido amniotico, solitamente a causa di qualche patologia. In tal caso il liquido si presenta particolarmente denso (viene detto a “purea di piselli”). Il rischio è che questa sostanza ostruisca le vie respiratorie con conseguente ipossia (carenza di ossigeno) e cianosi (pelle bluastra).

Questa situazione richiede un intervento tempestivo: il liquido amniotico così denso, infatti, deve essere aspirato immediatamente dopo la nascita e, talvolta, può rendersi necessaria l’intubazione del bimbo. Prevenire questa eventualità è difficile, ma tenere sotto controllo la quantità di liquido anmiotico nelle ultime settimane di gestazione può aiutare a prevedere e, quindi, fronteggiare al meglio la complicanza. Se il piccolo viene assistito bene, in ogni caso, la ripresa avviene nel giro di pochi giorni senza conseguenze.

Va ricordato che la fuoriuscita di meconio durante la gestazione è sintomo, e non causa, di uno stress subito dal feto e che la colorazione del liquido amniotico può essere rilevata solo al momento del parto. Prima, quindi, non si può sapere se si è in presenza di liquido amniotico tinto oppure no.

Un tempo veniva praticato un esame specifico, l’amnioscopia, per controllare la colorazione del liquido amniotico già durante la gravidanza, ma oggi non si usa quasi più, poiché si dispone di altri mezzi di diagnosi più sicuri e precisi. Le cause dello stress del bambino possono essere molteplici, ma sempre legate a qualche altra complicanza, come diabete gestazionale, ipertensione, distacco di placenta.

Tutte eventualità che presentano altri sintomi caratteristici in base a cui vengono individuate e curate.

CONTROLLI E MONITORAGGI

L’amnioscopia è stata sostituita dal monitoraggio del feto associato al controllo della quantità di liquido amniotico (AFI), rilevata durante l’ecografia. In questo contesto si misurano le sacche (o falde) di liquido presenti tra la parete dell’utero materno e il corpo del feto e se ne valutano le dimensioni.

Questo controllo può avvenire in ogni momento della gravidanza, ma diventa importante nelle ultime settimane prima del parto. La diminuzione di liquido, infatti, può essere la conseguenza di una ridotta funzionalità della placenta e può segnalare una sofferenza fetale.

Il monitoraggio (o cardiotocografia), invece, registra la frequenza delle pulsazioni cardiache (FCF) del feto e la loro variazione e, nello stesso tempo, rileva la presenza e l’intensità di contrazioni dell’utero.

La diminuzione di variabilità della FCF e le profonde riduzioni di frequenza (decelerazioni) sono indizi di sofferenza fetale.

Solo a membrane rotte si può praticare l’elettrocardiografia fetale posizionando un elettrodo sulla testa del bebè. Questo test registra gli impulsi elettrici rilevati e li trasforma in frequenze. Non sostituisce la cardiotocografia, ma può essere molto utile se associato a essa.

Gli esami in dettaglio

ECOGRAFIA È un esame non invasivo che permette di rilevare eventuali problemi nel vari periodi della gravidanza. La tecnica sfrutta gli ultrasuoni (impulsi sonori ad alta frequenza e a bassa intensità) che attraversano l’utero fino a raggiungere il feto e, di riflesso, ricostruiscono l’immagine sul monitor. Permette di controllare lo sviluppo degli organi e dei tessuti, oltre allo stato della placenta e alla quantità di liquido amniotico. Durante l’ecografia, infatti, vengono anche misurate le dimensioni delle falde liquide (AFI), cioè le sacche del liquido amniotico che si trovano tra le pareti uterine e il corpo del feto.

Questo permette di stimare la quantità di liquido amniotico presente.

CARDIOTOCOGRAFIA Si esegue con il cardiotocografo, uno strumento a cui sono collegati due rilevatori che vengono posizionati sul ventre materno con fasce elastiche.

Uno viene posto in corrispondenza del fondo dell’utero e ne registra le contrazioni. L’altro, collocato in corrispondenza del dorso del bambino, ne rileva il battito cardiaco.

Per valutare con esattezza la frequenza delle pulsazioni, bisogna attendere che il piccolo sia sveglio. Per questo, l’esame può durare anche 40-60 minuti. Le fasi sonno-veglia del feto, infatti, sono di circa 40 minuti.

AMNIOSCOPIA Un tempo, il colore del liquido amniotico era considerato un importante indicatore di sofferenza fetale. Per questo veniva eseguito un particolare esame, l’amnioscopia, che consiste nell’inserimento nel collo dell’utero di uno strumento (amnioscopio), mediante il quale si proietta nell’utero un fascio luminoso che consente di controllare quantità e colore del liquido amniotico. Se questo è limpido e trasparente, significa che la gravidanza procede bene, se invece è scarso o ha una colorazione scura per la presenza di meconio, segnala una sofferenza fetale e il medico valuta se sia il caso di avviare il parto, talora anche pretermine. Oggi questo metodo viene sempre meno usato perché, oltre a basarsi su una valutazione assolutamente soggettiva, è invasivo e comporta il rischio della rottura precoce delle membrane.