Oggetti transizionali

Gli psicologi chiamano “transizionale” l’oggetto che, di solito nel secondo anno d’età, diventa un compagno inseparabile del bambino.

Può trattarsi di una cosa qualsiasi, non necessariamente di un giocattolo (il bavaglino, l’orsacchiotto preferito, una copertina, lo stesso ciuccio) e ha un ruolo molto importante nello sviluppo.

In questa fase, infatti, il bebè sta compiendo la “transizione” tra una concezione unicamente fisica e concreta della realtà (la mamma è presente soltanto se è visibile) e lo sviluppo di un pensiero astratto (la mamma esiste anche se ora è altrove).

Caricando l’oggetto di affettività, il bimbo lo vive come una rappresentazione simbolica della figura materna, che lo potrà accompagnare e tranquillizzare durante le sue prime ”avventure” lontano da lei: l’inserimento al nido, un weekend dal nonni, il momento stesso, all’ora della nanna, di partire per i territori misteriosi del sonno.

Con il tempo, generalmente attorno ai 3 anni, si convincerà che la mamma riapparirà sempre accanto a lui senza bisogno di alcuno strumento – anzi, sarà sempre più “dentro” di lui – e l’oggetto transizionale perderà a poco a poco la sua carica magica.

Non dobbiamo forzarlo affinché si liberi di questo oggetto. Permettiamogli di portarlo con sè quando è possibile. E, anche se può apparire malconcio e provato dall’uso, evitiamo di modificarne la forma e l’odore, aggiustandolo o rammendandolo.